4. Mitologie dell'antico Vicino Oriente
4.1 Miti mesopotamici
La religione e la cultura della Mesopotamia godono di un periodo di continuità di circa 4000 anni, e da questo lungo lasso di tempo sono giunti fino a noi numerosi reperti archeologici e letterari. Religione e mitologia debbono essere interpretate secondo i momenti successivi della storia della cultura mesopotamica. La mitologia può essere divisa in tre periodi maggiori: età protoletteraria; periodo che va dalla II dinastia di Ur (metà del III millennio a.C.) all'inizio del periodo antico-babilonese (c. sec. XIX a.C.); periodo antico-babilonese, fino alla fine della civiltà assiro-babilonese nel sec. VII a.C.
Thorkild Jacobsen ha segnalato nelle sue opere un elemento perdurante e pervasivo dell'esperienza religiosa mesopotamica, la tendenza cioè a riconoscere il divino negli elementi particolari del mondo esterno. Queste forme variano con le singole aree geografiche e i periodi storici della Mesopotamia, ma le divinità del Sud-Est asiatico (Sumeri) vennero fondamentalmente assunte dai popoli semiti che sopraggiunsero a dominare quella stessa area, gli Akkadi (Akkad), gli Amoriti e gli Assiri (Assiria).
Dumuzi-abzu è una divinità sumerica delle pianure paludose, il cui nome significa "più veloce del giovane nel ventre della madre del profondo", e lo si interpreta generalmente come dio della fertilità. Sua sorella Gestinanna rappresenta il potere contenuto nei viticci dell'uva, e la sua consorte femminile è Inanna, che nei periodi più antichi è simbolo di "riserva di datteri". Dumuzi, Inanna e Gestinanna, come Duttura, madre di Dumuzi, e Ereshkigal, sorella di Inanna e divinità degli inferi, sono gli dèi protagonisti di un certo numero di cicli mitologici e di rappresentazioni mitiche. Sono soltanto una piccola parte di un pantheon contenente migliaia di divinità, ma servono come esempi del regnante simbolismo della fertilità che caratterizza e domina la religione arcaica.
Dumuzi, il cui nome semitico è Tamuz, è il punto focale di un mito e di un culto in cui la fertilità si manifesta come potere che compare nella palma da datteri con la primavera. Le metafore sessuali del corteggiamento di Dumuzi e il suo matrimonio con Inanna, la tragedia e la lamentazione per la sua morte, la venerazione e la ricerca di Dumuzi nell'oltretomba da parte della sorella e della madre, sono parti integranti del mito. In questo mito e in questo culto la religione mesopotamica ritrae la caratteristica vulnerabilità del genere umano che si confronta con le manifestazioni del sacro nella natura.
Nel periodo medio il ciclo dei miti prosegue — sia pure in forme mutate - il tema della fertilità, spostando l'accento sulle origini, il significato e l'autorità del sovrano. Storicamente tale fase corrisponde a quella dell'organizzazione collettiva delle città-Stato in Mesopotamia. Il simbolismo della fertilità passa da una semplice connotazione sessuale a un significato cosmico - il potere e la violenza del temporale che ingrossa la corrente dei fiumi. La fonte del temporale è Enlil, il cui nome significa "re vento": come la forza del vento, Enlil è un dominatore che dirige e orienta azioni benefiche per l'uomo. La maggiore autorità del pantheon è Anu (o An), la potenza nei cieli; sua moglie è Ki, la terra, e dalla loro unione si generano alberi, canne e altre forme di vegetazione. Anu è padre di Enki (in seguito chiamato Ea), che personifica la sacralità delle acque, dei fiumi, della pioggia, delle paludi. Enki è identificato con i fiumi Tigri ed Eufrate. Il suo nome significa "re della terra" e in esso è implicito il potere e l'indispensabilità delle acque dolci per la fertilità della terra: per omologia, qui si allude al seme umano. A causa di tali connotazioni, derivate dall'azione che egli svolge su acqua e terra per derivarne fango fertile, Enki è anche una divinità che "forma" e dona le forme: è un vasaio, e talvolta è inteso come l'archetipo o forma originaria.
La forma di Inanna (il cui nome semitico è Ishtar) muta durante il periodo medio: mantiene i simboli legati all'idea di riserva di datteri e consorte di Dumuzi, ma vi aggiunge quello di divinità della guerra, della potenza della pioggia, di stella della sera e del mattino, e di prostituta. La varietà dei simboli collegati alla sua figura è a sua volta un simbolo della sua natura (dea-madre). Durante questo periodo le divinità prendono forme distinte e il loro potere è una delle energie dinamiche che agiscono e interagiscono con l'uomo e con gli altri dèi. I miti di questa epoca sono relativi all'ordine cosmico, e le divinità se ne rivelano parti costituenti.
Nel periodo assiro-babilonese tardo si verifica un significativo spostamento di accenti, e il problema del rapporto fra il genere umano e l'ordine creato emerge come pregnante. È allora che appaiono il mito-epica di Enuma Elish e quello di Gilgamesh. In Enuma Elish, l'epica narra la storia della nascita degli dèi e di come l'intero ordine umano procedette da essa. L'eroe di questo mito è Marduk.
La nascita degli dèi si ha a partire dall'avanzare di Apsu, la fresca acqua sotterranea, e di Tiamat, l'acqua salsa dei mari. Da queste acque emergono per primi Lahmu e Lahamu, che generano Anshar e Kishar, i quali a loro volta generano Anu, dio dei cieli. Anu crea Nudimmud (o Ea), dio della terra, a sua propria immagine. Tiamat e Apsu restano oziosi, ma l'attività dei nuovi nati disturba la pace dei cieli e infastidisce Apsu. Tiamat prende le parti dei figli e tenta di placare la collera di Apsu, il quale si mostra incline al perdono finché il suo servo, Mummu, lo persuade ad assumere un atteggiamento più rigido. Prevedendo un attacco, Ea pronuncia una formula magica su Apsu e, allorché questi cade addormentato, lo uccide. Ea poi costruisce un edificio sul luogo della tomba di Apsu e lì vive con la figlia, Damkina; il suo primogenito è Marduk.
Col proseguire della storia, alcuni dèi più giovani complottano la vendetta per la morte di Apsu e scelgono a loro capo Kingu, secondo marito di Tiamat; altre giovani divinità incontrano e scelgono invece Marduk come capo nella guerra contro le forze di Tiamat e Kingu. Kingu alla vista di Marduk perde ogni coraggio, ma Tiamat affronta valorosamente la lotta, che si svolge fra le sue forze e quelle di Marduk. Questi riesce a uccidere Tiamat e ne taglia il corpo in due parti: di una fa il cielo, dell'altra la terra. Prosegue poi a foggiare il resto del cosmo, e assegna il loro ruolo alle altre divinità.
In questo mito si costituisce per il cosmo un'origine nuova: esso emerge dall'attività delle divinità più giovani, che hanno sconvolto la quiete delle divinità più antiche. Inerente al mito è anche la nozione di tragedia, di vulnerabilità: il nuovo mondo è sorto dalla morte dei membri più anziani del sistema familiare.
L'epica di Gilgamesh riflette inoltre le vicende della città-Stato, rappresentate nella storia del signore di Uruk - lo stesso Gilgamesh - giovane, forte, straordinariamente intelligente. In effetti, egli è così eccezionale da non avere uguale fra gli uomini e da recare un disagio ai cittadini di Uruk, nessuno dei quali è capace di sostenerne la compagnia. Il popolo di Uruk prega infine gli dèi di creare un uguale di Gilgamesh, così che la cittadinanza possa riavere la sua quiete, e gli dèi rispondono creando la controparte di Gilgamesh in Enkidu. Enkidu è uguale a Gilgamesh in forza, gioventù e intelligenza, ma non è un cittadino raffinato, bensì un selvaggio nato nei boschi, e i suoi compagni sono gli animali selvatici.
Gilgamesh viene a sapere dell'esistenza di Enkidu e cerca il modo di attirarlo in città. Un cacciatore armato di trappole e una prostituta vengono inviati nella boscaglia per trarre Enkidu in cattività, e ci riescono. La prostituta lo seduce e, dopo aver vissuto con lei per sei giorni e sette notti, Enkidu si accorge che gli animali - prima i suoi soli compagni - lo evitano e che egli ha perduto la capacità di comunicare con loro. La prostituta gli offre allora la sua compagnia e gli fornisce delle vesti. Si avviano lenti verso la città, dove giungono mentre si svolgono le nozze di Gilgamesh. Enkidu e Gilgamesh ingaggiano una lotta: Enkidu vince, ma con la vittoria scopre che qualcuno gli è pari per forza e abilità e così nasce una profonda amicizia.
Enkidu e Gilgamesh andranno in seguito nel bosco a uccidere il gigante o mostro Huwawa; al ritorno Gilgamesh è tentato da Ishtar, figlia del dio del cielo Anu, la quale gli si offre in sposa: Gilgamesh, però la rifiuta e la offende, accusandola di essere infedele e incapace di prendersi cura di un marito. Furente, Ishtar cerca vendetta e invia il toro del cielo a devastare Uruk, ma Gilgamesh gli si oppone vittoriosamente.
Poi Enkidu si ammala e muore, e Gilgamesh - conquistatore di tutto ciò che esiste - scopre di essere impotente di fronte alla morte. Egli apprende che uno dei suoi avi, Utnapishtim, conosce il segreto della vita eterna, e parte alla sua ricerca. Dopo un certo numero di avventure giunge alla sua abitazione, in una terra lontana. Utnapishtim, che è il solo uomo sopravvissuto al diluvio universale, rivela a Gilgamesh l'esistenza di una pianta spinosa che cresce ad Apsu, le acque dolci che scorrono sottoterra, e che dà l'immortalità. Gilgamesh va alla sorgente delle acque e si impadronisce della pianta, ma durante il viaggio di ritorno in patria un serpente la mangia, e per questo motivo sono i serpenti, e non gli esseri umani, ad avere la vita eterna. I due miti, di Enuma Elish e di Gilgamesh, sottolineano la centralità del tema della morte nella vita umana. In entrambi la morte è il limite ultimo dell'esistenza umana.
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